Gianni Berengo Gardin
Quando ancora non avevo acquistato una reflex, e il massimo a cui ambivo era una fotocamera usa e getta, lavoravo in un negozio di jeans.
Per tutto il negozio vi erano foto bellissime, che ritraevano Marilyn Monroe, il panorama di Seattle, New York, un ritratto di James Dean, il pranzo nel cielo degli operai e decine di altre foto.
Tra queste, lo scatto di un’ auto, realizzato in Gran Bretagna nel 1977 da Gianni Berengo Gardin.
Il mestiere del fotoreporter è affascinante ma la cosa che mi lascia sempre senza fiato è, a distanza di anni, entrare in contatto con persone che fino ad una decina di anni fa erano presenti nei primi anni della mia vita e nell’adolescenza, con le loro canzoni, con i loro film, e anche con i loro scatti.
Come se la vita avesse voluto darmi delle anteprime di quello che sarebbe stato il mio futuro.
Una terminata l’attività nel negozio di abbigliamento, alcune foto, per ricordo degli anni passati a sistemare jeans, le ho volute portare a casa. Seattle e… l’auto.
Quella bellissima foto, posta al centro della sala, diventata così normale, come per ogni cosa che vediamo ogni mattina, che mi ero quasi dimenticato fosse lì, sotto i miei occhi, da ormai 11 anni…
Ieri ho incontrato, parlato, stretto la mano e fotografato uno dei più grandi fotografi italiani contemporanei: Gianni Berengo Gardin.
Non capita tutti i giorni di fotografare persone come il Maestro e ieri ho avuto la fortuna di fotografarlo ben due volte in un giorno, una volta in conferenza e la seconda all’inaugurazione della mostra.
Il mestiere del fotoreporter dicevo, è affascinante ma troppo spesso hai i minuti contati, e per chi è alle prime armi come me fare una foto inutilizzabile è semplicissimo, senza contare che spesso incide l’emozione, la fretta, la paura di sembrare impacciato, e il fiato sul collo di altri tuoi colleghi che giustamente rivendicano il diritto di “portare a casa lo scatto” anche loro, senza contare che alcuni di questi praticano questo lavoro da diverse decine di anni prima di te.
Durante la conferenza vedi parlare un Maestro, che con due frasi riesce ad insegnare più di qualsiasi corso di fotografia, grazie alle sue 82 primavere che gli hanno permesso di realizzare un’ impressionante numero di scatti, 183 dei quali in mostra (aperta al pubblico da oggi 14 giugno 2013) “Storie di un fotografo” a Palazzo Reale a Milano.
Quando vedi un monumento parlare, ad intontirti maggiormente ci sono anche i tuoi sogni e le tue ambizioni di 25enne con tanto da imparare. Ti vedi tra 60 anni al suo posto (o almeno speri) a parlare delle tue fotografie, della tua mostra…
Poi viene il momento di fare sul serio e ti trovi davanti Lui.
Non ti tiri indietro e sei propenso all’errore irreversibile. Anche se per qualche minuto in posa solo per te, solo per la tua fotocamera, ti sembra una situazione surreale.
Lui 82 anni, di cui 83 passati dietro una fotocamera e tu. 25 anni, passati dietro una fotocamera molto pochi e ti trovi a dovergli dare indicazioni su che posa assumere. I “LOL” si sprecano.
Mi sono sentito come in un reality di cucina, a preparare una pietanza per farla valutare poi aGordon Ramsay. Lungi da me di mostrargli le foto, anche se dubito avrebbe potuto reagire come il noto cuoco.
Ad ogni modo quando si presentano queste occasioni, la prima cosa che mi passa per la testa è cercare con tutti gli sforzi possibili di creare scatti “immortali”.
Poi ogni volta sbaglio qualcosa, mi chiedo se sono tagliato per questo lavoro ma non mi arrendo mai…
Mi piace pensare davvero che tra una sessantina d’anni, quando sarò anziano e un po’ più sordo di ora, davanti ad un pubblico parlerò a chi avrà la mia età di adesso, un aneddoto divertente sulle mie prime avventure fotografiche.